LA SCUOLA NON E' PIU' QUELLA DI UNA VOLTA

 

 

 

Questa riflessione sulla scuola, è stata scritta qualche giorno prima della “guerra batteriologica”.

 

Ora, a distanza di circa un anno,  ed ancora in piena crisi, ci siamo resi conto, che la nostra vita è molto cambiata e riflettendo su un mondo alternativo che ci sta costringendo a considerare un altro tipo di realtà, possiamo forse avere imparato, che probabilmente, potrebbero esistere cose più importanti ed essenziali alle quali affidarci.

 

 

La scuola non è più quella di una volta.

 

Negli ultimi anni gli insegnanti si sono trovati a fronteggiare una battaglia senza speranze con la burocrazia, gli alunni ed i genitori.

 

La colpa è dello stato e dei ministri che perpetuano una situazione di completa indifferenza verso l’uomo, che ha la necessità di progredire verso la felicità data dalla cultura e dalla progressione latente in un mondo pieno di pessimismo e di battaglie inoppugnabili.

 

Poveri docenti, violentati da leggi senza senso, poiché è proprio questa la sensazione nella quale questi si trovano a convivere negli ultimi anni in un mondo che non è più piacevolmente il mondo che volevano costruire all’interno di una libera professione ormai senza speranza.

 

L’oppressione è sempre stata contro ogni evoluzione positiva e contro ogni libertà di pensiero.

 

Vivere ed esprimere liberamente le proprie idee senza la paura di essere perseguitati conduce ad una situazione di benessere, anche se poi i risultati possono essere diversi dai propositi perpetrati, ma sicuramente molto più favorevole rispetto ad una situazione di completo spaesamento dato dalla scarsa qualità degli obiettivi.

 

L’insegnante è disorientato e non riesce più a capire quale è il suo ruolo all’interno di una scuola priva di propositi seri, ma solamente guidata da scopi molte volte incomprensibili che potrebbero condurre verso il disfacimento dell’istituzione.

 

Il tempo dell’insegnante è prezioso e va calcolato precisamente in tutte le sue manifestazioni.

 

L’insegnante deve ritornare a fare il proprio lavoro, proprio come “una volta”:

 

Istruire, preparare, spiegare, informare, indirizzare, addestrare, sono tutti verbi ormai inutilmente usati a scapito della struttura scolastica ed in conseguenza degli studenti.

 

Attualmente, il bravo insegnante, è quello che sa preparare un progetto anzi, più progetti riesce ad organizzare e portare a termine, più la sua considerazione, all’interno della struttura scolastica, sale ed in conseguenza anche il merito in una ipotetica ed inutile valutazione che da qualche anno il docente è costretto a sopportare sia da parte del ministero, della scuola e degli alunni i quali si divertono, a volte, con rivalse e rivendicazioni, coadiuvati da alcuni genitori, che individuano nel docente non il tradizionale mentore ma colui, che vuole eliminare il proprio “bambino” dalla scuola, poiché guidato da propositi di ostilità e di scarsa considerazione.

 

 

 

In realtà il lavoro del docente, proprio a causa delle ultime leggi, è stato inesorabilmente sottovalutato, anche se molti dirigenti, condizionati o costretti dalle direttive di alcuni ministri arrivisti (che per la proprie prestazioni ricevono stipendi da favola) continuano, senza tregua, a proporre programmi sperimentali per giungere ad obiettivi ipotetici senza sapere se avranno, in futuro, risultati positivi o negativi sulla collettività.

 

Si parla di competenze, abilità, esperienza, capacità, missione, senza pensare al vero significato di tali termini ormai relegati all’apparenza di una professione che ha perso l’autentica visione dell’insegnamento come rapporto univoco tra il docente e l’alunno, poiché alla fine è proprio di questo che ci si deve preoccupare per raggiungere risultati concreti e costruttivi.

 

Anche questo tipo di legame si è ormai modificato in negativo insieme al ruolo stesso del mestiere.

 

Tra l’insegnante e l’alunno, per avere dei risultati efficaci, deve esserci, di nuovo, quella differenza data dalla posizione che rivestono le due funzioni fondamentalmente e necessariamente diverse:

 

l’una “al di sopra della cattedra” e del vecchio basamento di legno dai quali dimostrare le proprie tesi senza avere la preoccupazione di sgarrare, con libertà e sensibilità.

 

L’altra nella consapevolezza che la scuola è fatta per imparare, studiando senza remore e discussioni di sorta se si vogliono raggiungere proficui risultati.

 

La parità, tanto consacrata con le nuove tendenze, non fa altro che confondere i ruoli che devono invece, ed assolutamente essere diversi poiché sostanzialmente dissimili per natura.

 

Negli ultimi anni vi è stato inoltre un proliferare di novità che riguardano fantomatiche aule coloratissime e zeppe di oggetti informatici, che avrebbero la qualità di cambiare e modificare il modo di insegnare attraverso nuove metodologie didattiche, le cosiddette “aule speciali” con nomi che ricordano, in alcuni casi, strane avventure fantascientifiche legate a nuovi mondi non ancora esplorati.

 

Ormai tutte le scuole hanno dovuto accettare questa nuova tendenza ed aggiornare le proprie strutture per non rimanere al di fuori del sistema, rincorrendosi l’una con l’altra e facendo a gara per chi ha l’aula più bella ed originale, con attrezzature informatiche che assomigliano ai favolosi laboratori descritti nelle epopee di “Guerre stellari” con costi non indifferenti per la realizzazione e la manutenzione.

 

Chi è nella scuola da tanti anni e ha conosciuto la situazione precedente, quando cioè esistevano solamente le aule tradizionali, si pone alcuni dubbi sulla validità di tali impianti e sulle opportunità che dovrebbero creare, pensando invece ad una grande illusione data dai “bellissimi” e lussuosi spazi progettati dove gli alunni avrebbero la presunta possibilità di progredire modificando il proprio metodo di lavoro.

 

Ciò che conta, in fondo, è il rapporto tra insegnante e alunno (e viceversa) che dovrebbe essere rispettoso, corretto, positivo, osservante delle regole di convivenza, onesto e chiaro in tutte le sue manifestazioni ed al di sopra dell’ambiente nel quale tutto questo si sviluppa, ma forse basterebbe solo un grande portico coperto, dove insegnare diventerebbe realmente l’unico scopo ed obiettivo principale.

 

 

La vita della scuola è molto cambiata, in negativo, anche per quanto riguarda l’apprendimento.

 

Molte sono le deviazioni perpetrate negli ultimi anni a scapito dell’insegnamento autentico e tra queste, principalmente, è la tendenza a soccorrere, come una sorta di associazione ONLUS le famiglie ed in conseguenza i figli più bisognosi di aiuto didattico che la scuola distribuisce con orgoglio senza pensare al risultato dannoso che in molti casi si ripercuote sullo studente.

 

Gli istituti mettono sempre più a disposizione dei ragazzi, chiamati ora “clienti” dell’”azienda scolastica”, occasioni per rimediare alle valutazioni negative, come ad esempio la possibilità di correggere con un esame di recupero la situazione sfavorevole del primo periodo dell’anno, senza pensare che questa ulteriore opportunità può danneggiare la formazione dell’individuo che si trova il più delle volte a sottovalutare i risultati precedenti per affidarsi, senza troppe preoccupazioni, alla nuova possibilità creata appositamente per soccorrere l’assistito.

 

Fantasticamente lugubre è il modo di definire chi abbandona la scuola prima del termine stabilito dalla legge: “mortalità scolastica”.

 

L’obiettivo ora di tutti gli istituti è quello di diminuire il più possibile l’abbandono scolastico, proposito più che apprezzabile, visto che in Italia il fenomeno, così dicono le statistiche, raggiunge dimensioni rilevanti,

 

e quindi si cercano di individuare a favore dell’alunno molte componenti, per conoscere le cause della svogliatezza e di risultati scarsi tra le quali quelle: socio-culturali, socio-economiche, scolastiche, personali, l’area socio-familiare, l’area socio-pedagogica, l’area fisiologico e psicopatologico-individuale per valutare la cosiddetta “sofferenza scolastica” in relazione ad uno scarso benessere all’interno dell’ambiente scolastico.

 

All’interno delle cause, sempre nelle ultime tendenze, c’è anche, però, la possibilità che un docente non sia in grado di comunicare con l’allievo, poiché incapace di gestire l’insegnamento per mezzo delle nuove tecnologie e quindi con scarsa adeguatezza in relazione all’epoca contemporanea.

 

In poche parole, per fare in modo che il ragazzo non dimostri la “sofferenza scolastica”, tipica degli alunni svogliati, quelli che insomma non hanno voglia di studiare, gli insegnanti dovrebbero adeguarsi ai saperi ed alle conoscenze dei “clienti” e non il contrario come è sempre stato nelle scuole tradizionali e prestigiose.

 

Poi ci meravigliamo che l’istruzione non è più come quella di una volta.

 

 

L’orientamento, negli ultimi anni, è stato quello di facilitare il più possibile la vita scolastica dei ragazzi pensando che la preparazione, la conoscenza e l’apprendimento possano essere inversamente proporzionali al rigore, alla disciplina ed alla severità senza riflettere che una situazione del genere può portare a conseguenze tutt’altro che positive sulla formazione di una mentalità convenzionale.

 

Il rispetto delle regole, coadiuvato da una valutazione oggettiva, è la base per affrontare il mondo del lavoro, mentre il buonismo e l’estrema tolleranza possono portare ad un pericoloso fraintendimento.

 

E’ molto importante che la scuola dia un messaggio reale sullo sviluppo delle competenze e sulla situazione che si mostrerà all’interno di una qualsiasi professione senza equivoci, comunicando la propria adesione alla verità di un universo necessariamente spietato e senza seconde occasioni.

 

 

La burocrazia: altra nota dolente che sta rovinando l’autenticità dell’insegnamento.

 

Gli sventurati si ritrovano a compilare un’infinita serie di scartoffie che sono, negli ultimi anni,  ulteriormente aumentate senza una ragione concreta, perdendo il proprio tempo a scapito della professione che in questo modo si rivela sempre più un apparente esercizio fondato sulla falsa produzione di documenti fondamentalmente senza motivazioni certe con la conseguente perdita del “centro”.

 

 

Una scuola prestigiosa, che segue le novità della “buona scuola”, deve anche assolutamente adeguarsi alle normative europee, per essere al passo con i tempi; la scuola italiana deve cambiare, per riscattarsi e diventare finalmente ciò che ha sempre “desiderato essere”.

 

Per raggiungere tale obiettivo è necessario, tra le altre cose, imparare la lingua inglese, certamente importante per lavorare con l’estero, ma inutilmente usata per definire situazioni facilmente esprimibili anche in lingua italiana.

 

Ormai siamo inesorabilmente soggiogati da termini come: “cooperative learning” (apprendimento cooperativo), “crowdfunding” (raccolta di fondi), “workshop” (seminario), “mission” (missione), “master” (specializzazione), “step” (scalino), “flipped classroom” (insegnamento capovolto), “peer tutoring” (tutorato tra pari) e tantissimi altri che potrebbero essere tradotti senza problemi nella nostra bellissima lingua che però evidentemente viene considerata troppo povera di significati.

 

Si tratta di un vero e proprio tradimento che evidenzia la tendenza a rinnegare le nostre tradizioni per favorire un mondo superfluo di espressioni; queste hanno più l’apparenza di una moda che obbliga ad essere falsamente aggiornati ed al passo con i tempi per non rimanere al di fuori di un sistema, che sta portando al disfacimento della personalità di ogni individuo.

 

L'ultima novità riguarda fantomatici ed inutili corsi di aggiornamento che dovrebbero insegnare ad insegnare, almeno questo dovrebbe essere lo scopo ultimo della formazione dei docenti.

 

Queste lezioni vengono propinate dagli istituti scolastici e anche attraverso una piattaforma, che non si capisce quali obiettivi possa avere all'interno di tale incredibile assurda trasformazione relativamente alla vita scolastica dell'insegnante, il quale dovrebbe, per mezzo di questo percorso, raggiungere risultati qualitativi per riuscire a comunicare in modo soddisfacente con la classe ed esprimere al meglio i contenuti.

 

Sembra proprio che l'esperienza di tanti anni di lavoro non venga menzionata e che, ormai, non serva più a nulla all'interno di una scuola che segue improrogabilmente una via senza ritorno, carico di superfetazioni e di scartoffie e condannata a seguire, senza scampo, i nuovi indirizzi.

 

La scuola contemporanea italiana, secondo le nuove tendenze, deve assolutamente acquisire i metodi ed i modelli che sono propri di paesi come gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Finlandia ecc. senza tenere conto che ogni stato ha la propria cultura e le proprie tradizioni, e che queste vanno conservate e valorizzate nella differenza che rappresentano, senza cercare forzatamente di congiungerle in una grande visione internazionale per essere costantemente all'avanguardia.

 

L'impressione è che lo sforzo principale dello stato, dei ministri e dei tirapiedi che lo gestiscono, sia quello innanzitutto di mettere in estrema difficoltà chi lavora all'interno della scuola, proponendo assurde sperimentazioni senza avere la minima percezione di come potrà essere il risultato, poichè evidentemente la maggior parte di questi personaggi non conosce realmente il mestiere, perchè privi di esperienza sul campo.

 

 

Forse continuare implacabilmente e senza indugio verso la strada dell'innovazione ci mette in condizione di essere sottomessi a qualcosa che accade, il più delle volte, senza il nostro controllo e quindi non facilmente gestibile dalla creatività individuale e quando accade una situazione di questo tipo, potrebbe essere necessaria una piccola sosta per riflettere oggettivamente sui risultati ottenuti, ed eventualmente fare un passo indietro che metta in evidenza la reale condizione del "mondo" in cui ci troviamo.

 

 

Il significato del motto "il meno è il più", coniato dall'architetto Mies Van Der Rohe, esprime la volontà di arrivare ad una condizione di essenzialità attraverso la sottrazione di tutto ciò che rappresenta il superfluo e l'opulenza per giungere alla sobrietà, alla semplicità, alla sostanza.

 

Il concetto può essere trasformato in una filosofia di vita per non essere travolti dallo sviluppo incontrollato della società odierna che ci sta inesorabilmente conducendo verso uno stato sociale privo di personalità.

 

Molte sono le contraddizioni e le novità mentre la scuola, evidentemente, non è più quella di una volta mentre il buon insegnante rimane, nonostante tutto, come è sempre stato: appassionato, intraprendente, sensibile, responsabile e consapevole che la sua professione è ed è sempre stata importante e necessaria per guidare il futuro dei ragazzi, quei ragazzi che un giorno si troveranno ad affrontare un mondo sempre più difficile e feroce.

 

Questi nuovi eroi, per continuare a lavorare e produrre le intelligenze del domani, non dovrebbero considere troppo l'ambiente che li circonda, così rumoroso, chiassoso e sovraccarico, ma cercare di riappropriarsi del territorio che li compete, trasferendo le proprie esperienze senza condizionamenti di sorta, consapevoli che il mestiere nasce sopratutto dalle conoscenze e dalle capacità personali che devono essere conservate malgrado i cambiamenti, che sono tuttavia necessari, poichè parte integrante di un mondo che progredisce inevitabilmente per rendere migliore - almeno si spera - l'esistenza degli uomini.